di Micol Pieretti
Siamo liberi, ma morti di fame. È la denuncia dei giornalisti freelance e precari che stamattina alla Sala Lippi hanno preso parte all’incontro Se cinque euro vi sembrano pochi per un futuro radiosissimo, ironia amara sul prezzo di mercato di chi non ha contratto. Presenti all’incontro i giornalisti Cristiano Tassinari e Roberto Zarriello, autori rispettivamente di Volevo solo fare il giornalista e Penne digitali 2.0, il presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti Enzo Iacopino, il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Roberto Natale e una rappresentanza combattiva di giovani giornalisti. Tutti “irregolari”.
Il giornalismo sommerso. Francesca Ferrara, 33 anni, napoletana, è una newsmaker che organizza eventi, fa informazione con tutti i mezzi che ha, ed è attivista del Coordinamento dei giornalisti precari della Campania. Ma in redazione la chiamano ancora “piccirella”: col magro stipendio da freelance, non può permettersi di andarsene da casa . «E’ una macchina dello sfruttamento che opera nella più totale illegalità», denuncia la collega calabrese Raffaella Cosentino, giornalista per Redattore sociale e Repubblica.it. «Con l’aggravante che in Calabria ogni inchiesta è scomoda e quindi pericolosa»: basta raccontare che l’acqua non arriva nelle case e tirare fuori qualche nome per finire nella lunga lista dei giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta. Un lavoro rischioso che gli editori, che hanno fatto cartello, «pagano 4 centesimi a riga». C’è poi Paola Caruso, da sette anni al Corriere della Sera come collaboratrice. Una cronista diventata caso di cronaca per lo sciopero della fame dell’anno scorso: si era liberato un posto in redazione, che per anzianità di servizio le sarebbe spettato, ma è stato assegnato a quello che lei chiama «un pivello della scuola di giornalismo». Un’ingiustizia che andava sbattuta in prima pagina, dice Paola, perché «se continuiamo a considerare come individuale un problema collettivo non otterremo mai niente».
Il vero nemico: gli editori. Secondo Iacopino, sono i magnati dell’editoria i veri responsabili di questo stato di cose. Secondo le oltre 800 segnalazioni che il Presidente ha ricevuto da freelance e precari, la loro retribuzione media va dai 2 ai 5 euro a pezzo, e non arriva a più di 400 euro al mese, anche per 200 pezzi. «Quei ladri degli editori», dice senza timore, «vi mettono in schiavitù, e mentre a voi rubano i sogni, privano i cittadini del diritto all’informazione».
Ma qualcosa si può fare e si sta facendo. L’Ordine ha già presentato due proposte di legge per togliere i finanziamenti pubblici agli editori che non pagano dignitosamente il lavoro dei giornalisti. «E martedì prossimo», ha aggiunto Roberto Natale, «saremo ricevuti da Bonaiuti, sottosegretario all’editoria, per discutere un piano straordinario per la tutela del lavoro autonomo». Servono contratti migliori e leggi nuove, che riconoscano un inquadramentoai collaboratori non regolarizzati.
Purtroppo, a quanto pare, siamo ancora lontani dall’ottenere dagli editori un trattamento dignitoso dal punto di vista imprenditoriale, tale da garantire il giusto riconoscimento ai giornalisti che lavorano nell’ombra. E’ necessario che l’Ordine, come più volte ricordato durante l’incontro, continui ad impegnarsi per salvaguardare i loro diritti.
Forse, però, ciò che manca davvero è l’appoggio dei “garantiti”, dei professionisti che operano al sicuro di un contratto di lavoro e delle tutele della categoria: loro sì, avrebbero la forza e la voce per sostenere anche i membri più deboli, non di rado i più preziosi e appassionati.